Sant’Antonio
“Ogni mattina quando la luce indicava le mulattiere selciate che salivano verso le trincee, la fila dei recuperanti andava silenziosa; i passi sui sassi allertavano i lepri appena acquattati. Il succiacapre sghignazzava prima di addormentarsi. Con Giovanni partivano anche gli altri amici delle contrade vicine: i Pûne, i Grass, i Vuz, i Sech, i Ballot, i Càselat”.
Da “Le stagioni di Giacomo”
“La strada saliva ora lungo il dorso dell’antica morena che i secoli hanno ricoperto con il bosco. Un fruscio di ali mi fece alzare la testa verso il cielo dove una coppia di corvi volava alta verso la montagna (…) Così, guardando anch’io al di là della valle, vedevo la roccia dove sapevo esserci un piccolo branco di camosci (…) Ai bordi della strada ogni tanto vedevo in bel fiore della digitale porpurea, la preziosa pianticella che nel passato ha curato tanti cuori (…) Guardando la digitale il mio occhio si era fermato su qualcosa di morto. Mi chino a raccogliere. È un uccellino, un nidiaceo ucciso probabilmente dalla grandinata di ieri sera (…) Non ha fatto in tempo né a volare né a cantare. Lo deposito nel sottobosco: diventerà humus pure lui. Rivivrà in un fiore”.
Da “Tra le due guerre”, “Amore e morte nel bosco incantato”
IL CONTESTO
Rigoni Stern racconta nel primo brano l’epopea dei recuperanti, che per lunghi anni, a cavallo delle due guerre ma anche dopo la seconda guerra mondiale, setacciarono palmo a palmo le zone delle battaglie alla ricerca di residuati bellici da rivendere. Un’epopea a cui è dedicato anche l’omonimo film del 1970, girato da Ermanno Olmi su una sceneggiatura dello stesso regista e di Mario Rigoni Stern e Tullio Kezich.
Le strade e i sentieri percorsi qui dal padre di Giacomo e dai suoi compagni sono citati anche in “Storia di Tönle” e “L’anno della vittoria”, ed erano quelli più prossimi alla casa dello scrittore, da lui battuti quasi quotidianamente soprattutto prima del tramonto, dopo aver finito di scrivere. Lasciata la Val Giardini e la croce al limitare del bosco, da solo o col suo cane risaliva il pendio del Puntareche (ampia descrizione al cap. 12 de “L’anno della vittoria”) fino alla lapide che ricorda i partigiani morti sull’Isidoro, fra i quali il Moretto (vedi percorso di Malga Fossetta) spingendosi a volte fino al pianoro dell’Altebene, dove il giovane protagonista de “Le stagioni di Giacomo” va a far legna nell’autunno del 1930. Altre volte prendeva a destra e saliva lungo la strada di Sant’Antonio, come racconta nel secondo brano, particolarmente significativo perché illustra alla perfezione il suo modo di andare, attento a “leggere” ogni segno del territorio, in completa sintonia con la natura.
Lungo la stessa strada, a quota 1300, si trova una calcara come quella descritta in “Uomini, boschi e api” (“sono delle costruzioni cilindriche a cielo aperto altre tra i tre e i sei metri, dal diametro di quattro o cinque passi, completamente vuote”): erano manufatti nei quali fino agli anni Cinquanta si cuocevano i sassi per fare la calce.
IL PERCORSO
Dal bivio della Val Giardini, prima della Colonia, si prende a sinistra la strada sterrata (sentiero 832b del Cai) che sale verso il Monte Zebio, attraverso il Puntareche, il monumento ai partigiani, l’Altebene (45 minuti di salita regolare). All’incrocio con la strada forestale si lascia il sentiero che sale verso il cimitero della brigata Sassari e lo Zebio, e si scende a destra per la strada per circa 200 m., fino alla prima curva a sinistra, dove si imbocca a destra il sentiero non segnato che attraverso il bosco raggiunge in circa 300 metri la valletta sotto la strada di Sant’Antonio dove si trova la vecchia calcara. Saliti poi alla carreggiabile, si scende per 3 km fino alla Colonia e al punto di partenza.