di Giuseppe Mendicino, biografo di Mario Rigoni Stern
Mario Rigoni Stern è uno dei più grandi scrittori del nostro Novecento: atipico e originale, non può essere inserito in alcuna corrente letteraria. Per lo stile nitido e per il forte codice di valori può essere accostato solo a Primo Levi e a Nuto Revelli.
Era nato ad Asiago il 1 novembre del 1921, pochi anni dopo la fine della Grande Guerra, che aveva lasciato distrutti gran parte dei paesi e dei boschi dell’Altipiano, ed è scomparso il 16 giugno del 2008.
Nei suoi libri, prevalentemente autobiografici, ha raccontato la giovinezza ad Asiago dopo le distruzioni della Grande Guerra, gli anni da alpino combattuti su tre fronti (Francia, Albania, Russia), quelli della prigionia in Germania e infine la pace ritrovata nella natura della sua piccola patria.
Tra le sue opere più note, c’è innanzitutto Il sergente nella neve, epico racconto di guerra e di solidarietà tra piccoli uomini travolti dalla grande storia, pubblicato nel 1953. E poi storie di natura e di montagne, di uomini e di guerre vicine e lontane: Storia di Tönle, Stagioni, Il bosco degli urogalli, Arboreto salvatico, L’ultima partita a carte, Le stagioni di Giacomo, L’anno della vittoria, Quota Albania, Aspettando l’alba.
È stato lo scrittore dell’altipiano dei Sette Comuni, e dopo il ritorno dalla guerra non se ne è mai voluto allontanare, ma i suoi libri sono stati tradotti in tutto il mondo, perché il suo saper scrivere e i valori etici che traspaiono dalle sue pagine, sono riconoscibili a tutte le latitudini.
Con Storia di Tönle è riuscito a raccontare cento anni in cento pagine e poi, qualche anno dopo, a raccontare con lo stesso numero di pagine un solo anno del suo altipiano, L’anno della vittoria. Era quindi un narratore pronto a reinventarsi, a tentare modi nuovi di raccontare le sue storie, come nel suo ultimo libro Stagioni, diverso dai precedenti nel modo di cadenzare memorie ed eventi.
Rigoni era un narratore non un romanziere, le sue pagine raccontano storie e fatti vissuti direttamente o appresi da altri, nulla è inventato, con una scrittura chiara e a volte poetica, con frasi brevi ma ricche di un vocabolario complesso e accurato. Non aveva potuto studiare come avrebbe voluto ma aveva sempre letto moltissimo e sfogliando i suoi libri è possibile sentire l’eco di quelle letture: il Cechov dei racconti, l’Hemingway di certe volute ripetizioni, ma nei suoi scritti si possono rinvenire anche endecasillabi scaturiti dal profondo amore per la Divina Commedia di Dante.
Ha sempre evitato di inserire nei suoi libri commenti, messaggi o spiegazioni, ma tra le righe il lettore attento può cogliere profonde riflessioni sull’etica e sulla natura. Quando una volta gli chiesero se avesse un messaggio diretto per i più giovani disse solo: “Spegnete la televisione, leggete buoni libri e innamoratevi”.
Era un grande scrittore ma anche un uomo di altissima coscienza morale, sbaglierebbe chi volesse trasformarlo in una icona buona per tutte le stagioni, aveva la forza e la sensibilità di indignarsi fortemente quando vedeva prevalere l’ingiustizia tra gli uomini e la speculazione distruttrice dell’ambiente naturale. Detestava i retori e i demagoghi, i prepotenti e i disonesti.
Nei suoi ultimi anni, Mario Rigoni Stern era consapevole di aver vissuto le avventure e i sogni della giovinezza, di aver lottato e resistito in guerre e in prigionia, di essersi creato una famiglia, di aver scritto buoni libri, di aver preso posizione quando non sarebbe stato giusto e serio tacere. Di aver vissuto veramente, di non essersi “lasciato impietrire dalla lenta nevicata dei giorni”.
Per questo la sua eredità letteraria, civile e morale, che trascende tempi e luoghi, continua a coinvolgerci ancora oggi.