Il monte Katz
“Nel pomeriggio era salito sul monte Katz, poi dal bosco del Gharto aveva trascinato sulla neve, poco sotto la croce, un grande mucchio di rami secchi tagliati dalle piante in piedi, e aspettò il grande evento davanti alla hutta dei Runz. Da lassù udiva le fanfare suonare a tutto fiato e il brusio del popolo. Dopo la fantasmagoria dei fuochi, e dopo che l’eco dei botti si spense per le montagne e i cani smisero di latrare, allora accese il suo fuoco solitario e bevette un sorso di grappa da una bottiglietta che aveva portato con sé. Laggiù in paese più d’uno vide il suo fuoco e i nostri della contrada, che erano scesi a far festa con tutti gli altri, ammiccavano tra loro, allegri”.
Da “Storia di Tönle”
IL CONTESTO
È la prima notte del XX secolo, e Tönle Bintarn, latitante, deve trascorrerla da solo, mentre tutto il paese si concede una grande festa, descritta da Rigoni Stern con grande vivacità e molti precisissimi dettagli. Il contrabbandiere si sceglie un posto vicino a casa, il Monte Katz, e celebra l’evento a modo suo, ma senza rinunciare a far sentire, con un grande falò, la sua presenza alla sua comunità. Sempre dal monte Katz Tönle assiste, nel maggio del ’16, al mesto pellegrinaggio della sua gente profuga verso la pianura, per sfuggire alle bombe che già cadevano sull’Altopiano.
Ed è proprio avendo in faccia “le rive del Moor” (il pendio est della collina), dove una vacca se ne sta immobile nel tramonto guardando verso sud come aspettando il nuovo sole, che Rigoni Stern racconta a Gigi Ghirotti, morente, la “Storia di Tönle”.
IL LUOGO
Il Katz (detto anche Monte Bi) è la collina rotonda a nord dell’aeroporto, circondata dalle contrade Rodeghieri, Costa, Rigoni di Sopra e Maddarello, dove erano ubicate la casa di Tönle e dei protagonisti degli altri due romanzi della trilogia altopianese. Quello era anche il pendio che lo scrittore aveva di fronte quando scriveva, nello studio della sua casa, in val Giardini.
Si tratta del toponimo più presente dopo “Altipiano” nell’opera di Rigoni Stern, e rappresenta, secondo la studiosa Sara Luchetta, “un vero e proprio legame fisico fra le varie epoche narrate, la costante che si ripete come un punto di riferimento cui si affidano i protagonisti delle narrazione”, sia per il loro lavoro che per i giochi dei bambini, che per le celebrazioni rituali (i falò) che vi si svolgevano alla fine dell’inverno.
Il pendio ovest del monte è anche la salita più ripida e faticosa della Grande Rogazione, che passa per la cima (m. 1225) dopo aver lasciato Camporovere, costeggiato il monte Interrotto e sfiorato le contrade Büscar e Bosco.