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Cima XII

Cima XII

Cima XII (foto: Roberto Costa Ebech)

“Ma era pur sempre la Cima XII, la più alta di tutte, che da ragazzo pensavo di salire (…)

Era il 1936 e non avevo ancora 15 anni; in due partimmo da casa alle tre di notte e venne l’alba quando arrivammo al bivacco dei pastori presso Bivio Italia. Da lì, senza allungare per la mulattiera dei Cuvolini, prendemmo il sentiero delle Caneve e risalimmo dritti per il canalone che guarda a sud. Fu grandissima la nostra emozione quando giungemmo a scorgere l’abisso sulla Val Sugana e la cerchia delle Alpi dal Cevedale alle Pale di San Martino: ma ancora altre montagne oltre queste, e poi verso sud le pietraie del nostro Altipiano con molto evidenti i segni delle grandi battaglie non ancora coperti dai mughi, e tronchi di larici secchi. Era un mondo oltre il nostro orizzonte: questo vedevamo da lassù”.

Da Dentro la memoria” (a cura di Giuseppe Mendicino, Meridiani Montagna), “Sul calesse di mio padre”


“Sul finire dell’autunno, anche mio autunno, assieme al nipote settenne volli ancora una volta salire alla Cima delle Dodici. La giornata era limpida e fredda e nei posterni restavano ancora lenzuola di neve gelata (…) I solivi invece erano liberi e giallastri per erbe secche e grigi per rocce dilavate (…) Nei tempi antichi e fino all’Ottocento, per noi dell’Altipiano, questa montagna, che è la più alta, era dedicata a Freya, sposa di Odino e dea di fertilità, nascita e morte, e che “godeva della poesia amorosa”; ed era chiamata Freyjoch, montagna, giogo di Freya”.

Da “Amore di confine”, “Sfida a Cima XII”

 

IL CONTESTO

Cima XII

Cima XII (foto: Caterina Zancanaro)

Il primo brano è tratto dall’introduzione al libro di G. Balzani e F. Gioppi, “Alpi di mezzogiorno. Storie di uomini e confini tra Valsugana e Altipiano” (Euroedit, Trento, 2001), e parla dei primi approcci di Mario bambino alle montagne, restituendo lo spirito vitalista e avventuroso che aveva animato tutta la sua adolescenza.

Nel secondo brano, settembre del 1984, lo scrittore ha invece 63 anni, e delinea con bonaria ironia una vicenda dei primi anni del ‘900, quando attorno alla cima più alta dell’altopiano si sviluppò un pittoresco conflitto fra gli irredentisti italiani e gli austriaci, che allora presidiavano il versante trentino: ai blitz degli uni, che issavano tricolori e dipingevano di bianco rosso e verde la croce della vetta, corrispondevano gli interventi riparatori degli altri, conditi di benedizioni dei rispettivi parroci e di ridicole relazioni burocratiche dei funzionari confinari. Il racconto rivela quale fosse l’atteggiamento di Rigoni Stern verso queste beghe di confine: quello di pastori, cacciatori e contrabbandieri che “non se ne curavano e (…) continuavano le loro attività come avevano sempre fatto. Quella montagna restava Freyjoch o Cima delle Dodici e l’antico e il nuovo esistevano insieme (…)” Poi però venne la Grande Guerra “e da ogni parte dell’Italia sabauda e dell’Impero asburgico vennero qui gli uomini a morire a decine di migliaia. Ancora ogni tanto affiorano le ossa spezzate”.

 

IL PERCORSO

La strada militare verso Cima XII

La strada militare verso Cima XII

La vetta più alta dell’Altopiano (indicata sulle carte anche come Cima Ferozzo, italianizzato di Freyjoch ) si può raggiungere da Bivio Italia (vedi itinerario di Galmarara, come fece Rigoni Stern nella sua prima salita) oppure da Monte Forno, dove si arriva con l’auto, seguendo la strada (a volte accidentata) da Gallio a Campomulo, Malga Fiara, Piazza delle Saline, bivio Monte Forno. L’area è ricca di testimonianze belliche (prima del bivio del Forno da segnalare la buffa lapide che rievoca la tregua fra gli alpini del Battaglione Bassano e i soldati austriaci, nell’inverno tra il 1916 e il ’17) e di fenomeni carsici.

Partendo dal parcheggio sotto Monte Forno (m 1.827) si imbocca sulla sinistra la strada militare che sale dolcemente fino al Bivio Conrad (m 1.937), poco prima del bivio si lascia la carreggiabile si prende il sentiero sulla destra che rapidamente sbocca nella Kaiser Karl Strasse (itinerario 835 ) che arriva da Bivio Italia. Proseguire in direzione nord, e lasciare la strada per il sentiero nella curva a destra a quota 1985, sotto il Monte Frate. La pendenza si impenna man mano che ci si avvicina alla vetta, alle pendici della cima ci si congiunge con sentiero 208 e da qui inizia la parte più ripida che si inerpica tra rocce e pini mughi fino a raggiungere la croce di legno (m. 2.336), dopo circa due ore e mezza di cammino. A nord si staglia la seconda croce, quella metallica di cui parla Rigoni Stern nel racconto, posizionata dalla Sat di Borgo Valsugana. Dalla cima il panorama è imponente, e spazia dalla Valsugana ai Lagorai, alle Dolomiti, verso nord, e alla pianura e al mare a sud. Intorno si distinguono tutte le vette teatro degli scontri più duri della Grande Guerra, dall’Ortigara, al Forno, al Chiesa, dove sono stati ripristinati molti manufatti militari e collocata un’esauriente cartellonistica.

Per la discesa si può imboccare dalla croce metallica il sentiero 211 fino al Bivacco Buse delle Dodese (m. 2.158), quindi scendere verso sud (sentiero non segnato) fino a sbucare nella Kaiser Karl Strasse e risalirla per un centinaio di metri fin sotto il Baito del Cuvolin e l’omonimo fontanello (m. 2.021), e da qui prendere verso est innestandosi nell’itinerario 839, scendere per circa 2,5 km e girare infine a destra per Malga Pozze e il parcheggio.

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