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La tomba

La tomba di Mario Rigoni Stern

La tomba di Mario Rigoni Stern

“Negli ultimi giorni d’ottobre, nel pomeriggio appena ritornati dalla scuola, invece di salire ai roccoli (…) andavamo a piccole frotte al cimitero per ripulire dalle erbacce le tombe dei parenti (…) Nel pomeriggio del 1° novembre venivano accesi sulle tombe tanti lumini, venivano anche posati bene in vista i ritratti dei defunti ivi sepolti, e ghirlande intrecciate con rami d’edera, e fiori di latta smaltata a vivaci colori (…) Nelle sere del 1° e 2 novembre nessuno usciva di casa, nemmeno i più accaniti giocatori di carte (…)

Forse oggi è tutto più banale. Anche il cimitero si è molto ampliato perché i nuovi ricchi vogliono tutti la tomba di famiglia o la cappella gentilizia, con marmi lucidati, e statue, e luci splendenti; le tombe con piccole aiuole coltivate a fiori sono molto poche perché quasi tutte hanno lastre di marmo e fiori di plastica”.

Da “Tra le due guerre”, “Il giorno dei morti”

 

MORIRE DI PRIMAVERA

Mario non aveva paura della morte: “La vita si sa che deve finire, ma io non vivo questa consapevolezza con angoscia – mi disse quando lo intervistai per il suo 85esimo compleanno – Semmai può spaventare la sofferenza fisica, perché a volte il dolore umilia, non lascia all’uomo nemmeno la possibilità di pensare. Ma è un’età, la mia, che va affrontata avendo la coscienza del limite”.

In Rigoni Stern, d’altronde, la morte è sempre stata intrecciata strettamente alla vita, se non altro per la coincidenza che l’aveva visto venire al mondo (e quindi festeggiare il compleanno) proprio l’1 novembre (del 1921), giorno dei morti. Ed è morto, come avrebbe voluto, dopo aver assaporato per l’ultima volta la primavera, la stagione in cui la natura ritorna a vivere.

Mario era assiduo al cimitero, dove si aggirava tra le tombe ricordando i familiari e i compaesani che se n’erano andati, tra nostalgia, affetto e persino qualche sorriso: come, nel racconto citato, nell’episodio dei ragazzini che andavano di tomba in tomba per raccogliere la cera sciolta delle candele con cui sciolinare gli sci.

“Nella mia “Spoon River” paesana ritrovo le persone scomparse e rivivo le loro storie dimenticate”, mi disse in un’altra intervista. In uno dei suoi ultimi libri, “Stagioni”, racconta proprio “una passeggiata in Cimitero in un giorno di primavera”, tra le tombe dei genitori e della vecchia maestra, dei fratelli e degli amici che l’hanno preceduto, delle “ragazze con le quali cacciavo le farfalle” e della “guardia comunale che ci faceva correre quando eravamo troppo invadenti”. Tutto questo, scrive, “non è greve; è invece ritrovare memorie e dolce malinconia, non memorie cattive o fastidiose, o sensi di rabbia, o di rammarico per eventuali torti subiti”. Quello che resta, dopo tutto, è l’affetto sincero e l’atteggiamento indulgente che – anche nei momenti di amarezza e di incomprensione che pure gli sono stati riservati – ha sempre nutrito per la sua gente, un sentimento profondo e confortevole di comunità che è una delle sue eredità più preziose.

 

IL LUOGO

Mario morì il 16 giugno del 2008, nel suo letto, dopo alcuni mesi di malattia. Per sua precisa disposizione la notizia della morte venne diffusa solo a funerali avvenuti, il giorno dopo. È sepolto nel cimitero a sud del paese, sotto una grande croce di marmo chiaro che lui stesso aveva voluto recuperare dalla tomba del nonno paterno Giovanni Antonio, con davanti una piccola aiuola coltivata, come piaceva a lui.

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